Ho visto un uomo

Ho visto un uomo. Oggi pomeriggio, in pieno centro. Prima l’ho avvertito alle mie spalle, poi ho iniziato a scorgerlo, lateralmente. Ero al telefono, avevo fretta. Lui camminava, si avvicinava e in qualche modo già chiedeva la mia attenzione. Parlavo con il mio bambino di cose dolci, avevo un treno da prendere. Mi sono voltata. Un movimento, il mio, che è stato solo un accenno. Quanto è bastato per vedere un indice levarsi, come per dire scusi, io… Non sono più riuscita a seguire quel che sentivo dall’altro capo del telefono. Lui barcollava, ormai mi era chiaro. Dalla mia bocca iniziavano a uscire parole di difesa, sillabe che messe insieme avrebbero dovuto significare qualcosa come un no, non mi serve, mi dispiace. Non ho bisogno di nulla, non posso aiutarla. Nel frattempo, però, le mie palpebre si spalancano, qualcosa mi atterrisce. Nei suoi occhi, invece, stupore. Sono io a spaventare lui? Indietreggia. Ma fatica a coordinare i movimenti necessari per farlo. Non sembra pericoloso. Io impietrisco, lui inizia a cercare delle parole. Mi parla in inglese, ma non è inglese. Forse non ha idea dell’effetto che può fare il suo aspetto. Mi chiede indicazioni per l’ospedale. È sudato. Io gliele do e nel frattempo, definitivamente, lo guardo bene. Ha due potenti curve viola sotto gli occhi, gonfi, lucidi. Sembra l’esito di un ematoma. Ho la sensazione che ogni suo sforzo sia teso soltanto a mantenere la concentrazione che potrà servirgli a raggiungere un posto sicuro. Decido che non posso fidarmi del tutto di questa figura sinistra. Lascio che si avvii verso l’ospedale, che poi è la stessa via che devo percorrere anche io. Lo curo da lontano. Un ultimo particolare mi inquieta, è la sua mano: sembra esser stata spezzata in più punti, le dita si disarticolano per seguire la linea di un improbabile zig zag. Vedo una macchina della polizia, segnalo il tutto a un agente. Lo seguiranno, gli chiederanno i documenti. Lui faticherà a rispondere. Mi giro un’ultima volta. L’hanno fatto salire in macchina, avanzano verso l’ingresso dell’ospedale che ormai è alle mie spalle. Spero di avere aiutato quell’uomo. E ora vorrei sapere la sua storia, avrei voluto entrare al pronto soccorso, seguirlo, capire, conoscere i suoi perché. Ha avuto un incidente? Lo hanno picchiato? Veniva da lontano, magari scappando da qualcosa o da qualcuno? Lo avranno curato, poi? Ma soprattutto, devo ammetterlo, era la sua storia che avrei voluto conoscere per poter raccontare. Non so a chi. Ma non importa, credo sia proprio un istinto, questo mio.