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Ritratto di Angela

Un mio racconto sull’Alzheimer nella nuova antologia del concorso letterario “Dai voce alla tua storia”. Grazie all’Osservatorio Onda Salute Donna per questa opportunità.

   

Angela

Guardati: sembri scoppiare di salute! Pare proprio così, sai? Sì, ogni tanto penso che ci prendi in giro quando ti scopro mentre stringi un po’ gli occhi, per filtrare la luce del cielo e chissà quali altri pensieri. A che pensi, Angela?
Qualche volta abbozzi una risposta per me, o bofonchi parole di durezza e poi sorridi, pescando chissà da dove tutta quella dolcezza. Qualche altra, non ci pensi nemmeno a toglierti dal gusto di quell’azzurro.

Angela, quando ci siamo conosciute, tu quel cielo avevi già preso ad amarlo. Ti parlavo, tu mi rispondevi, ma la voglia di rifugiarti altrove, con la testa, era già troppo intensa. Sì, sembrava desiderio di fuggire, il tuo. Di sfuggire, forse, anche. In ogni caso, non ho fatto più in tempo a dirtelo che io sono la donna che oggi si prende cura del tuo bene più prezioso. Non il tuo cuore. Di più. Non il tuo respiro, di più. Non la tua salvezza, la tua luce, la tua casa. Di più: tuo figlio. Sì, lo so che un figlio è più di tutto questo. L’ho imparato diventando madre, come te. L’ho imparato diventando madre, grazie a te. Perché è stato tuo figlio a rendermi madre. E ora, attraverso di lui, so così tante cose di te.

Angela, tu sei la cosa più lontana che c’è dal suono acidulo della parola suocera. Tu sei la saggezza di chi sceglie di contemplare le nuvole per ore, tu sei un corpo mai stanco che si posa soltanto un pochino per assorbire i raggi del sole su una panchina sgangherata. Tu sei una bocca che sgranocchia una mela e poi bisogna toglierti il tovagliolo dalle mani perché mangeresti anche quello per quanto è forte la tua fame, il tuo anelare a un senso della vita che non ti riesce di ricomporre più. L’ho preso io il tuo bambino, Angela. È qui, ora. Ti parla, ti accarezza. Tu lo cacci. Poi ridi. Allora lui piange. L’ho preso io il tuo bambino, Angela.

Vieni, sediamo ancora su questa panchina sgangherata, abbiamo camminato a sufficienza. Dimmi come si fa a chiudere gli occhi e a godere di questo sole senza più sprecare le nostre parole.