Ritratto del Comandante Alfa

Oggi ho conosciuto quest’uomo.

Non ho potuto vederlo in viso perché era coperto, così come vi appare nell’immagine che pubblico e che ho preso dal web.

Avrei potuto fare una foto con lui, ma per pudore non l’ho fatto. Però ho potuto stringergli la mano e guardarlo negli occhi.

Lui è il Comandante Alfa.

Il Comandante Alfa è stato tra i fondatori del Gis, il Gruppo di Intervento Speciale dell’Arma dei Carabinieri per missioni segrete ad alto rischio: terrorismo, liberazioni di ostaggi, cattura dei più pericolosi criminali, in Italia e all’estero. Vivere sapendo che nel giro di mezz’ora puoi partire per una destinazione ignota il cui scopo ti verrà rivelato solo all’ultimo con l’unica certezza che sarà spaventoso: questa è la vita che non ti appartiene più quando lavori in questo sistema.

L’ho conosciuto perché oggi ha parlato davanti a tantissimi ragazzi delle scuole medie e del liceo, portando il suo esempio di uomo al servizio del bene. L’azienda per cui lavoro è stata sponsor di questa iniziativa, motivo per cui ho dovuto reggere l’imbarazzo di dire due parole introduttive prima di lui, ma per fortuna, prima che facesse l’entrata trionfale che meritava di godersi. Questo signore è stato impegnato in missioni per il mantenimento della pace in Afghanistan, Iraq, Bosnia. Nassiriya.

Ha raccontato di quando si è adoperato nella liberazione di Cesare Casella – due anni di prigionia incatenato in una buca di terra – e di quando ha tratto in salvo un’altra bambina, decidendo per l’occasione di contravvenire alla ferrea regola dell’obbligo di indossare il mefisto. “Volevo mostrarle il mio volto, farle capire che erano arrivati i buoni.” “Certo, io ti aspettavo” gli ha risposto la piccola con fermo candore. Il Comandante si commuove sotto il tessuto elastico che gli scherma la bocca.

Poi racconta di quando, da giovanissimo carabiniere, chiede di poter essere impiegato in azioni più toste, ma gli viene negato: è ancora il tempo dell’irruenza sconsiderata che gli fa rovesciare la scrivania del suo superiore per la rabbia del no ricevuto. È l’ultimo sbaglio da testa calda, racconta.

Poi la sua strada diventa un continuo agire di sagacia per trovare il modo di convogliare al meglio un temperamento potente, di quelli fatti per schiacciare il male, il tallone di Gesù sul serpente della tentazione maligna nel Giardino dei Getsemani.

Io non ho avuto il coraggio di chiedergli una foto, ma ho avuto quello di fargli una domanda. Ne vado fiera, sia per aver raccolto il coraggio necessario a porre un interrogativo così intimo a un uomo del genere, in mezzo a un pubblico di adolescenti traboccanti di ammirazione e domande, sia per la ricchezza che ho portato a casa dalla sua risposta. Gli parlavo e la sala taceva: da quell’angolo nel quale non tutti mi potevano vedere, la mia voce doveva sembrare sconosciuta ma adulta. Il Comandante mi guardava dalla fessura del suo passamontagna. Le mie parole si snocciolavano lievi eppure necessariamente gravi, i suoi occhi si facevano seri e al tempo stesso rispettosi. Parlavo e lui mi diceva con lo sguardo io non ho paura, nella mia coscienza, qualsiasi sia il quesito e il tribunale davanti al quale verrò posto; e se anche avessi paura non scapperei, fosse l’ultima prova della mia vita. Persone così sono abituate a sapere che ciò che stanno facendo potrebbe essere l’atto finale e il loro modo di andare incontro al destino è fermo tanto quanto spaventoso.

Mentre parlavo, me lo immaginavo muoversi nel buio dell’Aspromonte calabro, una svolta dietro un albero, cento nascondigli noti solo al nemico. E gli spari e qualcuno è caduto, hanno capito, non abbiamo i soldi, è una pioggia di proiettili e di fuoco, si muore. Io parlo, comunque, parlo pentendomi del mio coraggio, parlo sentendo di non essere in grado di sostenere quello sguardo duro. Ma intanto me ne nutro, intanto capisco nel suo esempio come si guarda in faccia la vita.

È a uomini che hanno toccato il diavolo che bisogna chiedere chi sia Dio.

“Lei ha visto il male da vicino così tante volte nella sua vita, senza perdere mai la motivazione per affrontarlo in ogni nuova occasione. E dopo aver visto questo male in faccia, è cambiata la sua idea di Dio?” Che cosa avrebbe potuto rispondermi un uomo di questo tipo? Forse avevo fatto una domanda ingenua a un uomo che ha avuto così tante volte modo di sentirsi grande, potente, capace. Gli importerà di Dio? Forse potrebbe dire che Dio gli è un concetto estraneo, che il suo impegno è dedicato a questa terra, dove Dio non è mai intervenuto? O che Dio è questione superflua, o inconsistente? “No” mi risponde. Pausa intensa. Pausa voluta. “No, non è mai cambiata la mia idea di Dio. Se non avessi pregato prima di certe missioni, se non avessi raccolto in me risorse e pensieri, trovando con questo anche molte soluzioni, io non ce l’avrei fatta. Dio mi ha sempre dato la forza.”


L’incontro è finito, il Comandante ha ascoltato le domande buffe dei più piccoli (“Ma neanche quando sei in casa tua puoi toglierti la maschera?”) e quelle di un liceale arrabbiato con una certa retorica della celebrazione degli eroi. Il Comandante lo ascolta, si mette in discussione, dà la sua risposta, poi ritorna interessato sul suo interlocutore: “E tu invece che cosa ne pensi?”

Il tempo è finito, i ragazzini si accalcano. Una campanella suona. Lo sciame si dissolve. Il capitano si alza.

Butta in fuori il petto, le spalle, trovo la sua camminata virile, un filo baldanzosa. Faccio il conto dei suoi anni, venticinque più dei miei, sessantotto anni e carisma da vendere. Chissà quante donne avrà fatto innamorare, penso, certa della mia stima orientativa. Forse ci vuole anche un po’ di pienezza di sé per scegliere un mestiere del genere. Vorrei vedere le donne nei Gis, dice anche. Non c’è nulla che anche loro non potrebbero fare. Mia moglie è stata mia complice, mia moglie mi ha aiutato ad andare ad affrontare il mondo, facendomi sentire che ai nostri figli avrebbe provveduto lei. È stata la loro scelta. Complice, è la parola che sceglie.


Il preside della scuola mi ringrazia per la domanda. È bello sapere che c’è chi pensa che il male vada combattuto anche se questo non vorrà dire estirparlo per sempre. Il male appartiene all’umanità. Come Dio, sembrerebbe dirmi oggi la vita.