Rosa? Che ne dite del blu ottanio? E del blu di Prussia?

È quotidianità, per chi fa il mio mestiere, imbattersi e fermarsi un attimo a riflettere su quelle espressioni ricorrenti, usate dai media, in particolare per titolare news e articoli. “Al via” è un tipico esempio di come con poche battute si possa indicare l’avvio di un progetto. In effetti la tastiera ne ha un consumo minimo: a-l v-i-a. Sei pigiate, spazi inclusi. Tutta un’altra vita rispetto a un incipit come “Parte oggi l’iniziativa…”. Sì, sì; occorre essere smart, al giorno d’oggi, no?

Vi riporto ora un’altra comune occorrenza, quasi un fatto di costume, ormai. “Si tinge di rosa…” Ecco: si parla magari di un convegno, un concorso, una ricerca e per il solo fatto che le donne compaiono in scena in gran numero, il #pinkwashing fa inesorabile capolino, onnipresente e ormai piuttosto odiosetto. È un modo breve per indicare le cose, e abbiamo capito: ma che noia! Quotidiano Mi-Tomorrow*, titolo: “La memoria di Milano si tinge di rosa: una statua per Margherita Hack”. Argomento del pezzo: “Prima dello scorso settembre sul territorio di Milano non esisteva alcun monumento dedicato ad una donna. L’amministrazione ha voluto correre ai ripari dedicando una statua a Cristina di Belgiojoso, ma le “quota rosa” (e ci risiamo! ndr) nel campo della memoria urbanistica non si fermano qui. Il prossimo monumento sarà dedicato all’astrofisica Margherita Hack”.

Personalmente, non ho nulla contro il rosa, anzi. Però trovo quantomeno petulante che per parlare di quanto le donne possano contribuire a una causa si faccia ricorso a quello che alla fine resta un cliché: femmina, fiocco rosa.

Se pensate a Margherita Hack, tingetela di blu questa Milano delle donne straordinarie. Di blu ottanio. O di blu di Prussia, come quello del cielo dove lei ha rivolto mente e cuore per tutta la vita, ben lontana da abbreviazioni e cliché.

Vi lascio un passaggio su come lei, #MargheritaHack, parlava dei colori. E una sua ricetta. L’avreste mai detto? 🙂

“Mi sono sempre dedicata al giardinaggio, anche se questo significava semplicemente sputare noccioli per piantare le piante: sembrerà incredibile, ma con questa raffinata tecnica botanica mi sono nati un albero di ciliegie, uno di pesche e un nespolo. Ci sono anche due alberi di fico: è curioso che possano crescere così a nord. Credo che a ciò non sia estraneo il microclima di Trieste, che è protetta dalle montagne ed è affacciata sul mare. In un angolo coltivo il mio radicchio selvatico. Lo mangio in insalata con aglio, olio e aceto ed è uno dei miei piatti preferiti. Ha integrato la rucola, che prima cresceva nello stesso posto.

Ci piacciono i colori, e così oltre le rose Tatjana ha piantato molti fiori. Ci sono i cespugli di iris viola, il gelsomino, che fiorisce a primavera ed è profumatissimo, i peperoncini rossi e gialli che creano una bellissima macchia cromatica, la forsizia, color giallo zolfo, allegra, che fiorisce alla fine dell’inverno, e le begonie. Durante l’inverno c’è una strana pianta, di cui non ricordo mai il nome, che fa dei batuffoli bianchi simili al cotone, così durante tutte le stagioni c’è sempre qualche fiore. Poi c’è un arbusto di rosmarino e l‘albero del diospero, che è un nome decisamente più bello di “cachi”!, che non fa fiori ma in autunno si ricopre di frutti arancioni.

Tratto da: “Hack! Come io vedo il mondo”. Di Margherita Hack.

*https://www.mitomorrow.it/online/ultime/milano-statua-margherita-hack/

La bocca non è

La bocca non è il colore. La bocca non è la forma, o la consistenza, o la morbidità. La bocca è il tuo tentennare, e il ricrederti, e il tornare. Ancora e ancora una volta.

Opera di Antonio Molino (particolare): La bouche en rose

L’anno nuovo

L’anno nuovo inizia. Ma tu non sai niente di lui. Niente.

Anche a voi capita, vero?

Anche a voi capita di pensare a come sarà quando, uscendo di casa, non riuscirete più a vedere una sola persona certamente più vecchia di voi, vero?

I vecchi cassetti, mille vani della memoria

A volte curioso tra gli oggetti e i mobili in vendita di una pagina dedicata all’usato. Soprattutto, i cassetti. I vecchi archivi, i mille vani, ogni piccolo scomparto un’opzione di creatività. E questi ripiani di una vecchia merceria che mi prende il cuore con così tanta malinconia. In quante mercerie sono entrata mano nella mano con mia madre, il tintinnio delle scatole di bottoni ammonticchiate l’una sull’altra, tutte, tutte le gradazioni del blu; l’odore di filato, di acrilico e di polvere.

Le favole, lo sai

Qualche volta sono brani di canzoni o motivetti, qualche altra storielle che riaffiorano, di quelle che puoi aver sentito soltanto da bambina. Ti svegli ed eccole, appiccicate da una qualche parte dentro di te e te la raccontano ancora la storia di chissà quale personaggio che non riusciva più a tenerselo in pancia quel segreto, e allora andava in un grande giardino, scavava una buca – con le mani, che la foga era tanta – ci buttava dentro il suo segreto e poi richiudeva tutto, spaziato e pago di uno sfogo. Il giorno dopo, perché c’è sempre un giorno nuovo che arriva, una notte trascorsa a far maturare le cose, mille fiori cantavano in coro il gran segreto: “Il re ha le orecchie da asino, il re ha le orecchie da asino: le tiene nascoste sotto la corona!” È immaginarsi già il sudore, ghiacciato, della fragile spia.

L’amore è un aquilone

L’amore passionale è mutevole. Si innalza, brilla, si espande e poi contrae. Trascolora, si assottiglia, o rotolando a valle come una palla di neve, si ingigantisce aggiungendo strati, e nuove pagine, e infinite sfumature al suo percorso. Nasce e può crescere. Come morire subito. Ma anche quando il suo destino abbia il respiro corto, qualcosa ti rimane impigliato per sempre, lassù. Come un aquilone in perpetuo ostaggio tra le fronde più fitte.

Autumn in

Autumn in Loano.

Se Einstein crede in Dio

Se è Einstein a credere in Dio.

Poi l’estate va

Poi l’estate va. E c’è sempre qualcuno che rimpiange l’odore del mare, l’altezza del sole, la libertà dei corpi. Io osservo l’autunno che entra nelle nostre vite, lo facciamo un po’ tutti, torvi. Di nascosto, gli allungo un po’ del mio pane. Allora lui si accuccia dietro di me, apre la sua sportina di velluto. Con circospezione, mostra ciò che è venuto a portare in dono. Il pudore della pelle sotto una maglietta di cotone, il conforto del fuoco nella prima umidità, il brillare nelle pupille per una nuova idea. Settembre è il peso di una mollezza che si dissolve, lenta, verso un cielo terso. E una nuova e generosa occasione di riparare all’incapacità di assaporare la sensualità della felicità.

Foto di Fabio Vittorelli