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Sarà che

E quando mi dicono “io Dio lo sento, semplicemente”, penso a quanto possano essere forti le proiezioni della parte più vera di noi, l’aspirazione all’eterno, la profondità interiore. Ma in tutta questa poesia, non posso scorgervi nulla di divino, nulla se non di umano. Sarà che Dio va intuito, più che capito. Sarà che il pensiero di essere sola in questo sconfinato universo mi atterrisce e tarpa le ali di una fantasia che vorrebbe staccarsi da una logica asfittica e pedante. Sarà che non riesco a tralasciare il fatto che parlare con Dio fa bene perché ci obbliga a parlare con noi stessi. E questo ci allinea con spinte e frustrazioni. Ci fa più onesti e in pace. Ed è appagante sentire di avere una propria voce pur fra innumerevoli stelle.

Pensieri stellari: non c’è ragione, no?

Ah, è tutto frutto del caso; capisco. Un incidente diplomatico tra molecole, un ballo scatenato fra neutroni. Non c’è ragione perché tutto, a un certo punto, debba esplodere. Poi precipitare in un nulla assoluto che non sappiamo concepire, ma soltanto tingere, di nero, nelle parole vaghe che proviamo a scegliere. Non deve esserci un perché; non deve per forza piacerci quest’assenza di significato. Può essere così anche senza la nostra soddisfazione. Possiamo arrancare brancolando fra i perché, sembrando splendidi esseri umani, o buffe scimmiette agitate. È tutto così meravigliosamente privo di origine, manchevole di fine. Brilla soltanto, l’universo. Ammira. Che vuoi saperne, tu, della Galassia UGC1810. Taci. Non pensare più.

Pensieri stellari: la spirale

Ditemi perché cose a milioni di anni luce da noi dovrebbero avere una disposizione a spirale. Buonanotte.

“Natura. Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho l’intenzione a tutt’altro, che alla felicità degli uomini o all’infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi.” (Giacomo Leopardi, Dialogo della natura e di un islandese).

Pensieri stellari: calpestii (im)possibili

Guardo questa foto. Penso: quale luogo potrebbe essere? Il fondo di un lago d’alta quota, in estate, il deserto, una vallata, magari americana, il Grand Canyon, lo scenario per un nuovo cartoon. Però no: questo posto si trova più lontano, più lontano dei crepacci montani, più lontano di un deserto, di un Colorado, di un paio di occhi stralunati di un Willy il Coyote a caccia del suo Bip Bip. Lontano, oltre i nostri possibili calpestii. Oltre la Terra, oltre un confine che oggi possiamo violare, provando vertigini, con l’illusione di toccare cose un tempo proibite: le stelle, il senso di un cosmo infinito, Dio. Un piede così altrove. Sembra terra, sembrano comuni sassi, comuni rilievi, comune polvere; invece è Marte. Possiamo andare così lontano, possiamo staccarci da noi stessi per qualche attimo, gongolare, sentendoci potenti. Anche se la gravità ci risucchia e ripiomba subito in noi stessi, ci proviamo sempre a fare quel piccolo salto. Piccolo, perché siamo piccoli. Gravi.

Pensieri stellari: e quindi?

Le stelle esplodono nel vuoto intorno a noi e noi le guardiamo, ogni tanto, di striscio, non sapendo che farcene di tutta questa luce, di tutta questa meraviglia. Le stelle brillano e noi diciamo “E quindi?” Le stelle sono Dio, ma sono troppo grandi per noi.