Mollica
E voi lo sapevate che la mollica tappa la tristezza?
E voi lo sapevate che la mollica tappa la tristezza?
A volte, mentre leggo o sono assorta nei pensieri, confondo i rumori della casa. Alzo lo sguardo, penso di trovarmi in una casa che abitavo in passato e invece no, i piani temporali non si mescolano davvero, se non per gioco, per un istante, nelle mie percezioni, errate e permeabili.
Della gentilezza va capita la fertilità.
Voglio che ci sia un posto per lei, qui, per quel che vale, per ricordare per sempre quanto può costare cara la ricerca della libertà, per ricordare che non c’è felicità senza libertà, che non c’è pace senza giustizia. Che cosa ti hanno fatto, cosa hanno fatto ai dolcissimi occhi che c’erano sotto quel trucco? Che Dio abbia pietà dei cuori che si oscurano nella lontananza dall’amore.
Non riesco a smettere di guardarla. O forse, non riesco a smettere di farmi guardare da lei.
Il mio aforisma scelto per l’agenda Book Pusher.
Ditemi perché cose a milioni di anni luce da noi dovrebbero avere una disposizione a spirale. Buonanotte.
“Natura. Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho l’intenzione a tutt’altro, che alla felicità degli uomini o all’infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi.” (Giacomo Leopardi, Dialogo della natura e di un islandese).
Che un catalogo come il Postalmarket sia nel ricordo delle prime complicate pulsioni di tanti uomini di una certa leva è cosa nota. Eppure quel giornale portava a casa una porzione di mondo anche a bambine e ragazzine. E le pagine dell’intimo avevano un che di conturbante anche per loro. Soprattutto per le domande che evocavano. Perché indossare biancheria tanto ricercata, forse anche scomoda? Perché… e per chi? Ma anche io, un giorno, potrei volerlo fare? Come starà su di me e come dovrà cambiare il mio corpo per starci bene? Ma la signorina che si fa fotografare così non ne ha un po’ vergogna? Beh, le cose essenziali paiono coperte, anche se non in tutte le immagini. Guarda qui, per esempio…
Era il 1985 ed Eleonora Brigliadori in tutto il suo splendore me la ricordo bene. Avevo 9 anni.
Guardi il cielo ed è azzurro. Tuffi la mente in qualche distrazione, che appare necessaria, e intanto il sole è calato e tutto si è fatto grigio senza che tu abbia potuto gustare i chiaroscuri, l’imbrunire della sera, la dolce malinconia del rosa e dell’arancio. La vita trascolora sotto i nostri occhi. Passa, non torna.
Così mi piace. Così è perfetto. Non troppo azzurro, non troppo terso. Migliorabile, come tutte le cose ancora vive.
Ho l’impressione che la vicinanza con i nostri morti sia più facile nei momenti della serenità rispetto a quelli dell’angoscia, come se la letizia potesse fare da collante, come se nell’aria dei momenti felici frullasse un impasto di molecole capaci di danzare su note comuni. I tempi del dolore, invece, sembrano appartenere a un mondo troppo distante dal cielo e dai morti, un tempo, per loro, ormai inudibile, diverso, inritrovabile e di piombo, mai più ripercorribile: il nostro.