Laura

Ti sei mai chiesta come sia franato, quel muricciolo? Pelle di alabastro. Tra orgoglio e malinconie. I dolcevita raccontano una bugia. Chissà se posso smettere. Qualcosa non va, in quel sorriso.

 

“Teresa? Teresa, sei in casa, posso entrare? Mmh, sento un profumino! È il giorno del liquore, vero? Produzione in corso?”

“Oh, Laura, eccoti! Ma certo, entra, sai che la mia casa è sempre aperta!”

“Sì, lo so, Teresa cara, ormai non ci passo neanche più dal citofono, scavalco il muricciolo da dietro e arrivo direttamente qui: è divertente!”

“Eh, Laura, sicché ti sei mai chiesta come sia franato, alla fin fine, quel muricciolo?”

Per un attimo sono rimasta imbambolata pensando a quel dettaglio. Teresa con le mani sui fianchi, in attesa di una mia risposta. Siamo scoppiate a ridere entrambe. Rincontrarla è più o meno sempre così, ogni mese.

E sì che dovrei essere io a portarle premura, e invece sono io ad andarmene sempre con le tasche zeppe di allegria. Ecco, lei è Teresa.

E io sono Laura, trentasette anni. Assistente sociale. Vivo sola, tra orgoglio e malinconie, guido una Fiat 500, rosso fuoco, ho i capelli corti, biondissimi e due grandi – un po’ pallati, per il vero – ma grandi occhi verdi. Le guance rosa. La pelle di alabastro, diceva la mia tata.

Teresa è la mia assistita più anziana. E la più in gamba, neanche a dirlo.

E poi sarà che oggi sono felice. E il merito non penso possa essere tutto e solo della saggia leggerezza di Teresa. O del mio nuovo profumo alla violetta. Lo trovo delizioso. Eh sì, mi si legge in faccia. E dappertutto. Che ci posso fare? Mi sono innamorata di lui. Forse non dovrei dirlo, non ancora. Ma finalmente, può essere che la felicità…

Anche per questa volta, Teresa è più che mai in forma. Posso anche tracciare due semplici virgolette sul registro comunale, alla sua voce: il riscontro sul suo stato di salute fisica, mentale e sociale è costante e luminoso.

Teresa ha iniziato la preparazione del suo prezioso liquore di uova e limoni. Lo fa con le bucce che avanza dalla cottura della marmellata del giorno prima. È una catena di montaggio, la sua. Poi per tutto l’inverno avremo un goccetto da farci per brindare alle piccole conquiste, consolarci delle tristezze, non badare al grigiore della maggior parte dei giorni.

Abbiamo appena oltrepassato la metà di febbraio, eppure c’è già un così piacevole tepore. Forse potrei riporre i miei dolcevita. Che bel nome hanno dato a questo capo d’abbigliamento. Quello che indosso oggi mi pizzica un po’, qui, dietro il collo. Sembra raccontare una bugia.

La mia giornata lavorativa è finita e potrei andare al parco, a leggere un po’. Chissà se ho ancora una coperta, nel baule. È bello non dover più correre a casa, ad accendere il computer. Chissà se posso smettere con quella cosa.

La casa di Teresa è in ordine. Anche se a occuparsene è quella ragazza, Mirna mi pare si chiami. Non sono più riuscita a incrociarla. Peccato, arriverò prima, la prossima volta. C’è qualcosa che non va, in quel sorriso.